Vendere Tim Brasil? Neanche per tutto l’oro del mondo. O, almeno, nemmeno per 15 miliardi. È questo il risultato di uno studio realizzato da Asati, l’associazione che tutela gli interessi degli azionisti di Telecom Italia, secondo il quale la cessione della compagnia di tlc brasiliana sarebbe in ogni caso un bagno di sangue, anche se avvenisse per una cifra vicina ai 15 miliardi, cifra che, è bene ricordarlo, nessuno finora si è sognato di offrire. Intanto, però, il tempo passa. Il piano industriale di Patuano, presentato l’8 novembre scorso, non ha di fatto convinto nessuno, proprio perché non sembra avere l’incisività necessaria per invertire la rotta. E il titolo di Telecom continua a perdere colpi: Fossati, per esempio, ha acquistato la sua quota per circa 1,2 miliardi e oggi si ritrova con un controvalore inferiore ai 400 milioni. Le uniche scosse al titolo si sono registrate la scorsa settimana, quando si è sparsa la voce che la cessione di Tim Brasil sarebbe avvenuta entro la fine di gennaio. La società ha smentito seccamente, ma la partita rimane ancora apertissima. Purtroppo.
Il futuro di Telecom Italia si gioca nei prossimi sei mesi. Da una parte, perché ad aprile il consiglio di amministrazione decadrà e dovrà essere eletto un nuovo board, che sia in grado di essere espressione di una fetta più consistente degli azionisti, invece che della sola holding Telco. Ad abbattere l’attuale cda ci si è andati vicini, il 20 dicembre scorso, ma alla fine ha prevalso ancora una volta il vecchio salotto che tanti danni ha prodotto in questi anni nell’ex-Sip. Dall’altra parte, rimane sempre in piedi la partita relativa alla cessione di Tim Brasil, forse l’ultimo asset davvero strategico di Telecom, se si esclude la rete in Italia. Una prima valutazione della controllata sudamericana si era fermata a circa 9 miliardi, mentre nei corridoi della compagnia di tlc si parlava di vendere (o, per meglio dire, svendere) a 7 miliardi. L’allerta generata dalla possibile cessione ha di fatto bloccato tutto.
Ma la partita rimane apertissima. Per almeno due motivi fondamentali: prima di tutto, perché il debito monstre di Telecom è un fardello che necessariamente andrà affrontato radicalmente, pena l’impossibilità di portare avanti quegli investimenti che sono imprescindibili per evitare di perdere ulteriori margini in termini di fatturato. Da questo punto di vista, vendere Tim Brasil a un prezzo particolarmente interessante potrebbe essere una di quelle azioni che si fanno a malincuore ma che possono dare nuova linfa ai conti di Telecom. Sarebbe, insomma, la classica cessione dei gioielli di famiglia. Ma diminuire drasticamente il debito permetterebbe di risalire la china dal punto di vista del rating, oggi prossimo al livello “junk” e che allontana potenziali investitori da Telecom.
C’è però un altro motivo da non dimenticare: Telefonica, oggi primo azionista della holding Telco, che a sua volta controlla il 22,5% di Telecom, possiede già una società in Brasile, cioè Vivo. E la sua contemporanea presenza in Tim Brasil ha fatto partire un richiamo ufficiale da parte dell’antitrust brasiliano, che ha multato Telecom e Telefonica e ha messo la compagnia di telecomunicazioni spagnola di fronte a un bivio: o vi sbarazzate delle quote in Telecom o Tim Brasil va venduta. Ovviamente, Telefonica preferisce la strada che porta alla cessione della controllata brasiliana, anche perché l’idea di Alierta è quella di spacchettare il gioiellino e ripartirlo tra i tre operatori concorrenti: Oi (compagnia brasiliano-portoghese), Claro (di proprietà di Carlos Slim) e, appunto, Vivo. E chissà che la politica non riesca, almeno questa volta, a battere un colpo, impedendo a Telefonica di vincere a mani basse.
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